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Sono arrivati in Italia da soli, dopo aver intrapreso un viaggio pericolosissimo. Hanno sfidato il deserto infuocato e il mare in tempesta in cerca di un futuro migliore. Da oggi, attraverso una rete di solidarietà, potranno ricominciare a sognare grazie allo sport.
Immaginate d’imbarcarvi su uno dei tanti barconi fatiscenti e zeppi fino all’inverosimile che ogni giorno fanno la spola tra la Libia e l’Italia. Immaginate, poi, di avere 16 o al massimo 17 anni. Di essere soli, perché i vostri genitori hanno preferito offrire a voi l’opportunità di una vita migliore. Lontano, per esempio, da una guerra che fa decine di morti al giorno o da una carestia che come una piaga biblica si è abbattuta sul villaggio in cui siete nati. Immaginate, infine, di approdare dopo un viaggio estenuante in un paese straniero e di essere trasferiti in un centro d’accoglienza che ospita centinaia di piccoli disperati come voi.
Ecco, adesso che avete immaginato tutto questo, provate a pensare cosa potrebbe darvi un po’ di gioia. Alleggerirvi l’anima dal peso della lontananza dai vostri affetti, rallegrando le vostre monotone giornate. Sono sicuro che anche a voi sarà venuta in mente una partita di calcio o, magari, una bella nuotata in piscina. O, perché no, una partitella di basket. È proprio questo l’obiettivo del progetto FAMI ideato dal CONI e rivolto ai minori stranieri non accompagnati presenti in Italia. Favorire l’integrazione e l’inclusione, offrendo loro l’opportunità di praticare attività sportive con il supporto di tecnici preparati e qualificati.
Ciò detto, quella attualmente in atto dal gennaio del 2016 è una sorta di fase pilota che, inizialmente, ha interessato solo alcune regioni (Emilia Romagna, Lazio, Marche, Sicilia e Toscana). A detta dello stesso CONI, però, verrà gradualmente allargata a tutto il territorio nazionale. Il progetto FAMI, in buona sostanza, consiste nell’individuazione di società sportive che possano avvicinare questi ragazzi a sport differenti dando loro la possibilità di essere inseriti, in futuro, tra le file di queste squadre. Nel frattempo, però, l’occasione è ottima per farsi nuovi amici, praticare l’italiano e migliorare la propria condizione psico-fisica. Una cosa, quest’ultima, davvero molto importante per degli adolescenti che, solo per il fatto di essere dei migranti forzati, si portano dietro traumi profondi.
25.000, a tanto ammonta il numero dei minori non accompagnati che solo nel 2016 sono arrivati in Italia. Adolescenti vulnerabili, che necessitano di grandi attenzioni proprio per evitare che vengano inghiottiti in quella no man’s land fatta di sfruttamento minorile e criminalità organizzata. Hanno bisogno di essere sostenuti, appoggiati passo dopo passo. Quale migliore occasione, quindi, se non della sana attività fisica praticata insieme ai loro coetanei italiani. Capace di diventare anche momento di scambio culturale. Per cercare di sconfiggere la diffidenza e i pregiudizi che ormai sembrano sempre più diffusi in Italia così come in giro per tutta l’Europa.
I giovani fino ad ora interessati a livello nazionale sono stati 750. L’obiettivo, tuttavia, è molto più ambizioso e dovrebbe arrivare a coinvolgere, in un triennio, circa 3800 ragazzi. Tutti minori senza famiglia che, come mi spiega Stefano Bellu curatore del progetto, sono stati selezionati dagli stessi centri d’accoglienza in cui vivono. L’attività degli operatori sociali, aggiunge Stefano, è fondamentale. Senza le loro competenze, mi confessa, sarebbe stato impossibile gestire in maniera proficua situazioni personali così tanto particolari. Quello che si sta cercando di fare, aggiunge, è cercare di ampliare il più possibile il turnover tra i ragazzi. Al compimento dei 18 anni per loro, infatti, dovranno essere trovate soluzioni abitative e lavorative diverse.
Ovviamente, mi permetto di dire, quando si tratta d’integrazione attraverso lo sport non può mancare la Liberi Nantes. Ed è stato così anche questa volta. Dal scorso luglio, infatti, l’Associazione si è fatta carico, attraverso il mister Toti, di un gruppo di circa 40 ragazzi provenienti da diversi paesi africani e non solo (Egitto, Gambia, Guinea e Albania). Questa “coloratissima” squadra di calcio, mi racconta il mister, una volta a settimana si incontra al Fulvio Bernardini per gli allenamenti sia di calcio a 11 che di calcio a 5. Con la speranza, magari un giorno, di entrare a far parte di quella grande famiglia che è la Liberi Nantes.
Al netto delle inevitabili difficoltà, mister Toti mi assicura, che i ragazzi sono riusciti a dar vita ad un gruppo molto coeso. In poco tempo, infatti, si sono resi protagonisti di iniziative che si svincolano leggermente dal progetto FAMI così come è stato pensato dal CONI. Prendendo parte a vari tornei organizzati dall’Oratorio di P.zza Bologna o dall’Oratoria S. Francesca Cabrini che, tra le altre cose, si allena proprio al Campo XXV Aprile. A dimostrazione che il calcio, e lo sport più in generale, è capace di ridare la voglia di vivere meglio di qualsiasi altra cosa al mondo.
Se possibile, però, in questo caso Alberto Urbinati e i suoi sono riusciti a fare anche di più e, forse, di meglio. Le corsie di una piscina, quella del complesso sportivo del Fulvio Bernardini per la precisione, hanno preso il posto del campo da calcio. L’obiettivo, tuttavia, è sempre lo stesso: fare dello sport un veicolo per l’integrazione di migranti e rifugiati. L’ennesima nobile iniziativa che cerca di andare oltre il colore della pelle e la nazionalità. Il tutto in nome di una solidarietà che travalica confini e frontiere.
Non c’è conclusione migliore, che prendere il prestito ancora una volta le parole di Stefano Bellu. Convinto, che iniziative come quella del progetto FAMI siano quanto di meglio possa esistere per favorire l’inclusione di chi, scappando da guerre e miseria, cerca un appiglio per ricostruirsi una vita. È importante, però, che queste non rimango solo occasioni sporadiche. Ma che, diversamente, siano inserite in una prospettiva molto più ampia e strutturata. Un modello d’integrazione, tanto per intenderci, che faccia dell’Italia un esempio da seguire anche per altri paesi.
(Mattia Bagnato)[:en]They arrived in Italy on their own, having undertaken a very dangerous journey. They faced the heat of the desert and the stormy sea to try to find a better future. From today, through a solidarity network, they can begin to dream again thanks to sport.
Imagine boarding one of those rickety old boats, overcrowded beyond belief, which every day make the journey between Libya and Italy. Imagine, too, being only 16 or 17 years old. Being alone, because your parents preferred to offer the chance of a better life to you. A long way from a war that kills dozens every day or from a famine which like a biblical plague has hit the village where you were born. Imagine, finally, arriving after a long journey in a foreign country and being transferred to a reception centre which houses hundreds of desperate kids like you.
So, now you have imagined all this, try to think of something that could bring a little joy to your life. Something which could lighten your soul of the weight of being so far from your loved ones, brightening your monotonous days. I’m sure that you are also thinking of a game of football or, perhaps, a nice swim in the swimming pool. Or, why not, an informal game of basketball. This is exactly the objective of the FAMI project, created by CONI and directed at unaccompanied foreign minors present in Italy. Helping integration and inclusion, offering them the chance to practise a sporting activity with the support of qualified and experienced coaches.
That which has been under way since January 2016 is a kind of pilot scheme which initially involves only a few regions (Emilia Romagna, Lazio, the Marches, Sicily and Tuscany). According to CONI, however, it will gradually be extended to cover the whole country. The FAMI project, in essence, consists of identifying sports clubs which can engage these kids in different sports, giving them the possibility to be selected, in future, in their teams. In the meantime, though, it is a great opportunity to make new friends, practise Italian and improve one’s psycho-physical condition. This last part is very important for adolescents who, by being enforced migrants, often carry with them profound traumas.
25,000 – this is the number of unaccompanied minors who in 2016 alone arrived in Italy. Vulnerable adolescents, who need a lot of attention to make sure they don’t get swallowed up by that no man’s land made up of youth exploitation and organised crime. They need to be supported step by step. What better opportunity then, than healthy physical activity with Italians of the same age. These can also become moments of cultural exchange. Trying to overcome the diffidence and the prejudices that now seem to be increasingly prevalent in Italy and in the rest of Europe.
Up to now, the number of young people interested nationwide is 750. The objective is very ambitious: to involve about 3,800 boys and girls over a three-year period. All are minors with no family who, Stefano Bellu, the curator of the project, tells me, have been selected by the reception centres where they live. The activity of the social operators, Stefano adds, is fundamental. Without their competencies, he confesses, it would have been impossible to adequately manage such complex personal situations. What they are trying to do, he adds, is to increase as much as possible the turnover among the boys and girls. By the time they reach 18, different living and working solutions should have been found for them.
Obviously, if I may say so, when we talk about integration through sport we can’t leave out Liberi Nantes. And that is the case this time too. Since last July, the Association has taken charge, through coach Toti, of a group of about 40 young people from different African countries and others too (like Egypt, the Gambia, Guinea and Albania). This “colourful” football team, the coach tells me, meets once a week at the Fulvio Bernadini centre for a training session in both 11-a-side and 5-a-side. The hope is that one day they may make into the big family this is Liberi Nantes.
Despite the inevitable difficulties, coach Toti assures me, the lads have managed to create a very cohesive group. In no time at all, they have become protagonists in initiatives which are slightly removed from the FAMI project in the way it was conceived by CONI. Taking part in various tournaments organised by the Oratory of Piazza Bologna or the Oratory of S. Francesca Cabrini, who, among other things, train at the April 25th sports ground. A demonstration that football, and sport in general, is able to give people back the will to live better than anything else in the world.
If it’s possible, however, in this case Alberto Urbinati and his people, have managed to do even more and, maybe, even better. The lanes of a swimming pool, that in the Fulvio Bernadini sports complex, have taken the place of the football pitch. The objective, however, is always the same: using sport a vehicle for the integration of migrants and refugees. The umpteenth noble initiative which is trying to go beyond the colour of someone’s skin and their nationality. All in the name of a solidarity which crosses boundaries and borders.
There’s no better conclusion than to borrow once again the words of Stefano Bellu. Convinced that initiatives like that of the FAMI project are the best ways that exist to help the inclusion of who, escaping war and poverty, is in search of a foothold to rebuild a life. It is important, though, that these are not isolated occasions. That, on the contrary, they are inserted into a wider and more structured perspective. A model of integration, so to speak, that makes Italy an example for other countries to follow.
(Mattia Bagnato)[:]